La Liguria è una regione impervia e costantemente minacciata da dissesto idrogeologico.
La Frana impregna da sempre questo territorio, è la sua conformazione geologica (e ontologica) naturale. Chi vi abita si oppone faticosamente allo scivolare via del suolo, un lavoro che prende la forma di cura ma anche di forzatura degli equilibri. Terrazzamento dopo terrazzamento, pietra dopo pietra, il paesaggio diventa un immenso deposito di fatiche.
Qui, il significato di Frana sconfina oltre l'accezione comune: è sinonimo di incuria e abbandono, spopolamento delle aree interne e perdita della memoria locale. Ma è anche un simbolo di trasformazione e rinnovamento, di materiale che si rimescola verso nuove geografie. Una trasformazione perpetua che opera su scale temporali a noi interdette, come quelle della litogenesi. Un dispositivo per allontanarsi dalla prospettiva antropocentrica e risintonizzarsi con i ritmi della terra. In questo humus di energie, è la pietra a configurarsi come elemento di interfaccia tra noi e la Frana.
Risalendo la colata di detriti si torna indietro nel tempo, fin dentro al ventre della montagna. Qui, con le unghie e con i denti, con scalpelli, mazze, martelli pneumatici e caterpillar, si cava l'ardesia da migliaia di anni.
Dal buio di questi tunnel si sviluppano i quattro percorsi del documentario.
Angelo, Carlo e Paolo lavorano nelle cave dell'azienda F.lli Demartini, nel polo estrattivo della Val Fontanabuona. Alle sette del mattino indossano le loro tute e scendono lentamente nel sottosuolo mentre fuori sorge il giorno.
Entrando in punta di piedi e stivali infangati nelle cattedrali sotterranee da cui viene estratta l'ardesia il tempo prende un'altra forma. Si stratifica. Seguendo i filoni si attraversano ere geologiche e si riporta alla luce ciò che la frana ha ricoperto nel corso di milioni di anni.
Un simile viaggio nel tempo è il lavoro di recupero del territorio operato da associazioni che con grande cura si attivano per far fronte a una frana di tipo culturale. Le Pietre Parlanti sono un'organizzazione no-profit con sede a Lavagna. Grazie ad una rete di volontari stanno riscoprendo il patrimonio storico sul Monte Capenardo e il Monte San Giacomo. A colpi di decespugliatore e motosega, lentamente riemergono gli antichi sentieri, i canali che portavano l'acqua ai mulini, le pietre bucate per sorreggere le vigne. Testimonianze che ricordano un passato difficile e faticoso, eppure ricco di consapevolezza e ingegno.
Un luogo così fragile ha bisogno di una sapiente regimazione idrica, di mani pazienti che rimettano a posto le pietre cadute dai muretti, di qualcuno che sappia dove far passare le strade senza indebolire i versanti. Mestieri che si tramandano per vie trasversali, dalle madri e dai padri e dai video su internet; un patrimonio che si studia, dimentica e recupera. Un muro non è solo la somma dei suoi sassi.
Luca Drovandi è un artigiano murettista che opera verso La Spezia. Socio di ITLA (International Terraced Landscapes Alliance), si occupa di formazione nell'arte della pietra a secco. Costruisce e si prende cura dei terrazzamenti in zone spesso impervie e difficili da raggiungere.
Con lo spopolamento delle aree interne e la rapallizzazione delle zone urbane emerge però un altro paradigma: alla lenta lavorazione dei sassi incastrati nei muretti subentra la soluzione istantanea e fissante delle reti paramassi. Più facili da installare e meno costose, queste trame metalliche ci proteggono dall'esuberanza della roccia. La Campra Rocciatori si occupa da più di vent'anni della messa in sicurezza e del consolidamento di versanti instabili. Una tecnica agile ed efficiente, capace di congelare la frana a mezz'aria.
Se sia possibile o meno immobilizzare questa forza trasformativa è difficile a dirsi: esserne testimoni richiederebbe seguire la frana e il suo rotolare per milioni di anni, rovinare assieme a mare e accogliere il suo ciclo infinito di rinascita.