Frana come timeline

Frana Futura

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Soggetto

La Liguria è una regione impervia, stretta fra i monti e il mare. Una rete di fonde valli scavate da torrenti che sfociano sulle coste rocciose. I versanti ripidi crollano e si sversano in acqua. La Frana impregna da sempre questo territorio, è la sua conformazione geologica — e ontologica — naturale.

Entrata di una cava in mezzo al bosco
Sorlana, ingresso della cava
Sorlana, ciappaia di una cava d'ardesia abbandonata

Chi vi abita si oppone con tenacia allo scivolare via del suolo, adoperandosi in un lavoro che prende la forma di cura, ma anche di forzatura degli equilibri. Due forze che si incontrano e modellano a vicenda: una che tira verso il basso, l’altra che si aggrappa e cerca di resistere.

Terrazzamento dopo terrazzamento, pietra dopo pietra, il paesaggio diventa un immenso deposito di fatica: fatica umana, fatica animale, fatica delle radici che scavano la terra arida e rompono i muri, oppure li tengono coesi; fatica della pietra, schiacciata fra meandri e formazioni destinate a un infinito rimpasto.

Piega nei calcari a Foppo

Questa è la Frana: non la catastrofe imprevista, ma il continuo rimescolarsi della terra. Un processo che arriva dal buio del tempo profondo e scivola verso nuove geografie. Un mistero che si stratifica e si sgretola lungo le ere. Una trasformazione perpetua che opera su scale temporali a noi interdette, come quelle della litogenesi.

1. Un tempo al posto della Liguria c'era un vasto mare: l'Oceano Ligure. Dalla compressione del fondale oceanico operata dalle forze tettoniche, è emersa la varietà di rocce che caratterizza la regione.

Gruppo del Sale, soggettiva della frana che precipita
Soggettiva della frana mentre sprofonda

Una di queste, in particolare, può essere l'interfaccia tra noi e l'inafferrabile corso della Frana: l'ardesia. Originata dai fanghi e dalle sabbie di frane sottomarine sottoposte ad un lento processo di cementazione, è tradizionalmente adoperata per la costruzione di terrazzamenti, case, tetti e crêuze.

Interno della cava di ardesia
Estrazione del blocco

Nel ventre della montagna la si estrae da sempre: prima con mazze e scalpelli, poi con motori e lame dentate. Nell’oscurità del sottosuolo, i cavatori hanno scolpito cattedrali di pietra dalle pareti umide e il pavimento fangoso. Un’estrazione che segue l’andamento del filone, attraversando le ere geologiche e riportando alla luce ciò che la frana inesorabile ha completamente ricoperto.

Un blocco viene trasportato fuori dalla cava
I blocchi vengono impacchettati per la lavorazione

2. Ma è in superficie che percepiamo la frana con maggior chiarezza, là dove si fa evento. Per trattenere la terra che si sgretola, spesso si ricorre a soluzioni istantanee e fissanti come le reti paramassi. Queste trame metalliche ci proteggono dall'esuberanza della roccia. Un involucro per preservare la montagna intatta. Una tecnica agile ed efficiente, che promette di congelare la frana a mezz'aria.

San Fruttuoso, elicottero porta le reti

Non intercettarne la spinta. Non convogliarne la traiettoria. Immobilizzarla, letteralmente. Una messa in sicurezza che consolida terreni instabili, ma al contempo li rende inaccessibili. Li pietrifica, li rende cioè, nient’altro che pietra. Laddove vengono poste le reti quasi nessuno può più transitare. Forse solo alcune capre selvatiche, con i loro passi misurati e indifferenti alla forza di gravità. Forse qualche auto sulla strada sottostante, e poco più.

San Fruttuoso, rocciatori trasportano le reti
San Fruttuoso, rocciatori srotolano le reti

3. In passato il primo strumento per sostenere i versanti e renderli abitabili erano i muri a secco, molto più dispendiosi delle reti, sia in termini economici che di tempo. Chi conosce la Liguria non dimentica che ogni scorcio è stato modellato con fatica. I liguri hanno dovuto ricavare la loro pianura verticale realizzando strette fasce di terra coltivabile appese ai fianchi delle montagne. I terrazzamenti, sorretti da chilometri di muri a secco, sono stati per secoli l’unico espediente per continuare ad abitare la regione e trarne sostentamento.

Lavorazione delle pietre per il muro a secco
Trasporto delle pietre

Ma l’industrializzazione e l’agricoltura moderna hanno portato ad una progressiva trasformazione della società e dell'economia locale, e di conseguenza anche l’abbandono dei terreni. I muri, che sopravvivono solo se accuditi, hanno cominciato a spanciare e i terrazzamenti a crollare. In un luogo dal così fragile equilibrio è possibile abitare solo attraverso il rispetto del peso di ogni pietra. C’è bisogno di una sapiente regimazione idrica, di mani pazienti che rimettano a posto le pietre cadute, di qualcuno che sappia dove far passare le strade senza indebolire i versanti. Un muro non è solo la somma dei suoi sass

Posa della prima pietra del muro

4. Lo spopolamento e il conseguente abbandono delle aree interne e dei borghi meno accessibili hanno rapidamente lasciato il posto a una vegetazione intricata e spinosa: edera arborescente, rovi, vitalba. Un rigoglio che si avvinghia alle pietre, si insinua in tutti gli interstizi e riconquista lo spazio che prima occupavano viti, ulivi, grano. È la forza della frana che riprende a scorrere, la montagna che vive e riveste i suoi versanti con una fitta coltre boscosa.

Bosco sul monte Capenardo

L’abbandono porta con sé anche una frana culturale, fatta di tradizioni perdute lungo mulattiere che non esistono più, rovine che tornano ad essere pietra. Nel tentativo di riscoprire un modo di abitare più consapevole, alcune associazioni si stanno impegnando per far riemergere gli antichi sentieri, i ponti dimenticati, i canali che un tempo portavano l'acqua ai mulini, le pietre bucate che sostenevano i pali di castagno delle vigne. Testimonianze che ricordano un passato faticoso, con cui è difficile fare i conti e spesso è più facile dimenticare. Eppure, dalla gran fatica per la sopravvivenza affiora chiara la profonda conoscenza del territorio, una consapevolezza preziosa e necessaria per convivere con la Frana.

Località abbandonata di Araxi Alta, nelle aree interne di Borzonasca
Emerge una ciappa dell’antica crêuza

La Frana è un simbolo di trasformazione e rinnovamento, ma è anche trasformazione e rinnovamento in senso stretto. Convivere con essa significa essere disposti al cambiamento e saper interagire con ciò che ci circonda. Una stratificazione di vita, tempo e materia di cui anche noi facciamo parte. La Frana è futura perché non è mai immobile. È futura in quanto traiettoria. Fare la Frana Futura significa partecipare al rimescolamento della terra, attingere ai materiali di antiche frane e riconfigurarli per quelle ancora al di là da venire. Significa prestare attenzione alla dimensione temporale delle nostre azioni, al loro modo di propagarsi nello spazio e nel tempo, su diverse scale. Un sistema di equilibri complesso che affonda le radici in tempi lontani, dove tutto è connesso a qualcosa, ma non tutto è connesso a tutto. Impossibile percepirlo in ogni sua stratificazione: il paesaggio racchiude un mistero che non abbiamo la facoltà di sciogliere. Riconoscere questa condizione significa accettare la Frana come persona: darle uno spazio nella nostra immaginazione, nella nostra cultura e nella nostra politica. Frana Futura è un tentativo di trasformare il significato di frana: da evento imprevisto, catastrofe e disastro, a condizione di ascolto, cura ed equilibrio.

Sorlana, interno della cava

Persone, associazioni e ditte coinvolte

L’azienda F.lli Demartini possiede tre cave situate nel comparto estrattivo di Orero, in Val Fontanabuona.

La Campra Rocciatori è una ditta piemontese che si occupa da più di vent’anni della messa in sicurezza e del consolidamento di versanti instabili.

Luca Drovandi è un artigiano murettista che opera nel territorio di La Spezia. Socio di ITLA (International Terraced Landscapes Alliance), si occupa anche di formazione nell'arte della pietra a secco.

Le Pietre Parlanti sono un’organizzazione no-profit con sede a Lavagna. Grazie ad una rete di volontari stanno riscoprendo il patrimonio storico sul Monte Capenardo e il Monte San Giacomo.